11 novembre 2015

Recensione: "Revival" di Stephan King



Più di cinquant'anni fa, in una placida cittadina del New England, un'ombra si allunga sui giochi di un bambino di sei anni. Quando il piccolo Jamie alza lo sguardo, sopra di lui si staglia la figura rassicurante del nuovo reverendo, appena arrivato per dare linfa alla vita spirituale della congregazione. Intelligente, giovane e simpatico, Charles Jacobs conquista la fiducia dei suoi parrocchiani e l'amicizia incondizionata del bambino: per lui il pastore è un eroe, soprattutto dopo che gli ha "salvato" il fratello con una delle sue strepitose invenzioni elettriche. Ma l'idillio dura solo tre anni: la tragedia si abbatte come un fulmine su Jacobs, tutto il suo mondo è ridotto in cenere e a lui rimane solo l'urlo disperato contro il Dio che lo ha tradito. E il bando dal piccolo Eden che credeva di avere trovato. Trent'anni dopo, quando Jamie avrà attraversato l'America in compagnia dell'inseparabile chitarra che l'ha reso famoso, e dei demoni artificiali che ha incontrato lungo il cammino, l'ombra di Charles Jacobs lo avvolgerà ancora: questa volta per suggellare un patto terribile e definitivo. "Revival" è il racconto di due vite, quella che King ha vissuto e quella che avrebbe potuto vivere, attraverso due personaggi formidabili per potenza e fragilità, due uomini ai quali accade di incontrare il demonio e di affondare nel suo cuore di tenebra.







"Revival" di Stephen King è la storia di due vite parallele, una senza uno scopo apparente, quella di Jamie Morton, chitarrista e tossicodipendente, e una che ne ha uno solo, terribile e ossessivo, dal giorno in cui un incidente stradale gli porta via la sua famiglia. Il reverendo Charles Jacobs si presenta all'inizio come un giovane sacerdote ricco di iniziative, che arriva in una piccola città del Maine conquistando ragazzi e adulti. La morte della giovane moglie e del figlio gli porta via la fede e la stima dei suoi parrocchiani. Ma la sua vita tornerà a intrecciarsi più volte con quella di Jamie, prima in una fiera di paese, poi in un tendone dove l'ex sacerdote opera guarigioni miracolose che però lasciano strascichi inquietanti, fino al finale apocalittico in un altopiano battuto dalla pioggia e solcato dai fulmini.

"Home is where they want you to stay longer"

In questo libro la presenza di HP Lovecraft, il visionario di Providence padre di molta della letteratura horror, fantastica e fantascientifica dei nostri tempi, si sente fin dall'epigrafe iniziale, ma diventa lampante là dove Charles Jacobs comincia a indicare la fonte delle sue ricerche alchemiche in libri perduti dell'antichità. Chi conosce King sa quanto questo riferimento al mondo di Lovecraft sia costante nelle sue opere, anche se in On Writing non manca di rilevare come il suo non sia certo un modello di prosa da imitare. L'originalità di questo romanzo è, come nel migliore Stephen King, nel radicamento con una realtà che è già abbastanza orribile, nel modo in cui la mania di Charles Jacobs intercetta le manie delle folle, le ossessioni del secolo: il bisogno di evasione, la droga, la religione come soluzione di tutti i problemi e come fruttuoso business. Così, le conclusioni dell'autore sui segreti dell'universo sono, se possibile, ancora più pessimistiche e prive di speranza di quelle di Lovecraft.




A coronare la trama avvincente, uno stile come sempre ricco e godibile, anche se con questo romanzo King non arriva al funambolismo creativo di opere come (tanto per fare due esempi) Dreamcatcher o Duma Key.







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