14 gennaio 2017

Il coraggio di restare di Asia Da Costa + prologo in esclusiva



Titolo: Il Coraggio di Restare
Autore: Asia Da Costa
Data di Pubblicazione: 25 gennaio ’17
Self Publishing
Secondo volume: Il coraggio di perdonare

Ero tornato. Lei era di nuovo mia. La mia vita stava viaggiando senza meta ed io non avevo frenato la sua corsa, e quando mi sono voltato indietro era già troppo tardi. Lei non c’era più. Vagavo in un labirinto senza uscita, imprigionato in quelle sensazioni contrastanti che avrebbero dovuto condurmi al suo perdono, e forse avrei messo fine al mio tormento. E se fosse lei quel tormento che mi impedisce di dimenticare? Oggi sono distrutto, schiacciato dalla triste realtà di dover amare e odiare. Grace mi ha mentito, e il mio passato è testimone di quanto io non fossi in grado di cancellare il potere distruttivo di una bugia, e salvare noi due dalla fine. Sono fermo al bivio. Inizio o fine? Perdonare, o condannare un amore calpestato da una menzogna? Ogni ferita o cicatrice ha bisogno di tempo per rimarginarsi, lungo o breve, lui è l’unica cura. Ed io, Owen Riley, ho usato tutto il tempo a mia disposizione, o forse quel tempo non è mai arrivato.



Prologo
#Owen


Il bordo di vetro circolare graffia il mio polpastrello. Lentamente completo un altro giro, costatandone la ruvidezza. È fastidiosa. Storco il naso alla nauseante puzza di whisky scadente. Non è il mio caro vecchio Jack. No, lui non avrebbe questo sapore pungente e disgustoso. Concentro i miei occhi, oramai schermati dal fumo e dall’alcol, sul tipo che continua a riempire il mio bicchiere. Non ricordo di aver mai visto così tanti capelli su un ragazzo prima d’ora. Sono lunghi, spessi e lisci. Almeno credo sia un maschio, non sono certo di essere abbastanza lucido da distinguere il mio indice dal medio, figurarsi accertarmi se sotto quella maglia lunga e anch’essa nera ci siano delle tette. Acutizzo la vista, ma le pupille faticano a restare aperte e iniziano a lacrimare. Lo fanno spesso, e il più delle volte non è dovuto al fumo. Strofino la fronte sul legno rovinato del bancone, è tutto vecchio qui. Ho dovuto allungare una gamba e inchiodare il piede al pavimento per restare in equilibrio su questo sgabello, che a fatica regge il mio peso. Le risatine stridule dei tizi più ubriachi del sottoscritto mi inducono a sollevare la testa. Pessima idea. Tutto gira e sono quasi sicuro che prima il capellone avesse una testa, ma non mi soffermo a rifletterci più di tanto. Non ho ancora toccato il punto in cui spegnerò del tutto il mio cervello. Ingoio il restante liquido che sa di cartone socchiudendo gli occhi, e mentre sto per gridare al tipo o alla tipa con due teste di preparami un altro giro, sono trattenuto per una spalla. Mi giro di scatto rischiando di inciampare su questo maledetto sgabello malfermo, se non fosse che il mio braccio è agguantato da una stretta familiare. Incespico per cercare di divincolarmi dalla presa, ma la nausea ha già toccato la mia gola ed è impossibile trattenere i conati. Il pavimento consunto è allettante ma costringo le mie gambe a raggiungere il bagno vicino. Spalanco con una manata la porta e mi accascio sul lavabo. Svuoto il mio stomaco di tutto quell’alcol, arrestando il respiro per non essere costretto a inalare questa tremenda puzza.
«Nemmeno alla morte di Raul eri ridotto così.»
«Non avevamo abbastanza alcolici.»
Scivolo con la schiena lungo la parete e, alzando le ginocchia al mento, poggio le braccia a penzoloni sulle gambe. Strizzo gli occhi e prendo una serie interminabile di respiri per non dovermi rialzare e riabbracciare quel lavabo. Sento i suoi passi avvicinarsi, cade di peso accanto a me toccandomi la spalla, massaggia premendo con insistenza e senza rendermene conto i miei occhi riprendono a lacrimare. Potrei dare la colpa alla luce fastidiosa del neon, ma sono consapevole che non sia così. Steve tocca la mia spalla. Quella sinistra.
«Devi ritornare a casa, amico.»
«Non è ancora il momento.»
«Non risolverai nulla in questo modo. Devi reagire.»
Reagire. Come potrei farlo? Ogni volta che la mia mente è libera dallo stordimento il dolore è potente e atroce, dilania il petto e mi soffoca. Tocco il torace, e racchiudo nelle mie mani un tormento tale da sentire ogni forza abbandonare il mio corpo per dare spazio solo a un grande vuoto. Un baratro profondo e oscuro.
«L’ho sognata.»
«Amico… »
«Appena chiudo gli occhi la vedo. Il suo sguardo, il suo sorriso, e il momento più difficile sai qual è? Quando sento la sua voce. Prima è vicina, e poi lentamente si allontana. La perdo. Scompare nel nulla. La chiamo, urlo il suo nome, ma non basta a riportarla indietro.»
«È solo un sogno.»
«È quello che succederà. Quando saprà che sono io suo padre lei mi odierà.»
«Non potrebbe mai odiarti, è tua figlia.»
«Io ho odiato mio padre.»
Pizzico la stoffa dei jeans sdruciti, sfilando i fili di cotone dalle ginocchia. Tiro sempre più forte arrossando le dita. Steve afferra il mio polso strattonandomi verso di lui. Sospira frustrato, stentando un atteggiamento dispiaciuto appena incontra il mio viso. Non mi rado da due giorni e sono quasi certo che la puzza che si respira dipenda anche dal rivoltante odore imperlato nei miei vestiti. Avrei bisogno di una doccia e di cambiarmi, ma non voglio. L’ultima volta che l’ho vista e ho abbracciato il corpicino del mio angelo, avevo questa canotta e questi jeans. Non voglio toglierli. Le sue manine, appena è corsa tra le mie braccia, hanno stretto questa stoffa mentre la riempivo di baci e la stringevo a me.
«Non è la stessa cosa. Owen, le manchi. M.G cerca di coprire la tua assenza, ma lei continua a chiedere di te.»
«L’ha coperta per tanti anni e lo farà anche adesso. È brava a mentire.»
«Non essere così duro con lei. Sta soffrendo.»
Vorrei poter ribattere e urlare tutto il mio rancore. Gridare la delusione che provo verso la donna che mi rende vivo e uccide nello stesso momento. Intrappolo in uno sguardo ferito Steve e non ho bisogno che dia voce al mio rammarico e risentimento, lui ha capito. Scuote la testa affranto.
«Dimmi cosa posso fare per te. Qualunque cosa.»
«Ho bisogno di tempo. Devo restare da solo. Non voglio vederla e se tornassi a casa rischierei di trovarmela lì. Devo starle lontano, o la ferirei riversandole addosso l’astio che sento ogni volta che rivivo quella mattina.»
«Amico, che cosa mi stai chiedendo? Non avrai intenzione di ripartire, vero?»
«No. Ma per lei sarà come se lo avessi fatto.»
Si alza di scatto e mi fissa accigliato dall’alto. «Ti sei bevuto il cervello? Ragiona, Owen. Che senso ha tutto questo? E dove andrai?»
«Ho pensato di chiedere aiuto a Lauren.» Sbarra gli occhi, sorpreso dalla mia confessione. Riconosco dalla sua espressione corrucciata l’enorme fatica che comprometterà la mia decisione. Nonostante i giorni passati Steve è legato a Grace, e mentirle equivale a tradirla.
«È una cazzata! Non vuoi vederla? Ok, te lo concedo. Ma che c’entra la strizzacervelli? Puoi restare a casa senza incontrarla, ma non complicare le cose. Quando sarai pronto ad affrontarla, perché succederà, non avrai scusanti per essertela spassata con Freud!»
«Che cazzo hai capito? Non sono così stupido e Lauren è abbastanza matura da non commettere lo stesso errore. È la persona di cui ho bisogno adesso e spero accetti di aiutarmi. Solo lei può farlo.»
Ho riflettuto a lungo su cosa dirle. L’ultima volta che ci siamo visti l’ho cacciata di casa incolpandola di un errore che ho commesso io. Le avevo detto che non mi fidavo più di lei, ma mi sbagliavo. Oggi lo so, lei è l’unica di cui mi fidi.
«Che ruolo avrei io in tutto questo?»
Ingoio il restante sapore acido del whisky prima di forzare le mie gambe ad alzarsi.
«Voglio che le stai vicino. Voglio che tu faccia battutine stupide e la mia bambina ti premierà con il suo splendido sorriso, voglio essere sicuro che non le lasciate sole. Non lasciare sola Grace.»
«Questo lo avrei fatto comunque. Hai omesso ciò che veramente vuoi che faccia e sono sicuro di sapere la risposta. Tu vuoi che io menta, è così?» Abbasso il capo annuendo.
«Cristo! Mi stai chiedendo di essere un maledetto ipocrita. Sai vero, che tutto questo porterà solo disprezzo e aggiungerai un'altra colpa alla tua scaletta da oscar? Ed io sarò complice di questa pagliacciata. Ti prego, amico, torna in te. Prenditi pure del tempo, ma non lasciarti influenzare dal tuo maledetto orgoglio. Sei stato via a lungo, tanto da sapere quanto sia difficile e doloroso il distacco da lei. E da tua figlia.»
«Nemmeno sapevo di avere una figlia.» Stringo i denti per combattere l’improvvisa fitta al petto. Mia figlia. Ho combattuto contro ogni voce nella mia testa che mi diceva di non andare alla festa, e di non mettere a dura prova il mio dannato cuore ferito. Quando Steve mi ha inviato quel video dove stavano allestendo un palco, e delle bambine in tutù si preparavano per un balletto, ogni motivo per il quale non dovessi essere lì era insignificante. Volevo vedere la mia bambina e ancora più triste era la consapevolezza di non sapere nulla di lei, non sapevo che danzasse e nemmeno che lo facesse così bene. Era un angelo, il mio bellissimo angelo. Mentre ballava incurante che la stessi osservando, aveva scatenato dentro di me un dolore meraviglioso, crudele ma stupendo. Faceva male non essere in prima fila ad applaudirla. Ma era sconvolgente il modo in cui mi aveva dimostrato, con dei semplici passi, come ci si sente quando tutto l’amore che pensi di aver provato prima era solo una piccola parte di quello che causava le lacrime che ingoiavo a fatica. Ero avvolto dalla straordinaria sensazione dell’amore incondizionato.
«Ora lo sai.»
Scuoto la testa. Ho preso la mia decisione, devo allontanarmi e rimettere in piedi il disastro di uomo che sono diventato.
«Manterrai la parola, Steve?»
«Non ho altra scelta.»
«No, non ce l’hai.»
Nessuno di noi ha scelta se a imporla è la triste verità di un amore destinato a essere solo un ricordo. Un momento della tua vita che ha cancellato la tua personalità, trasformandoti in una figura che di te ha solo l’involucro esteriore. Sono solo un’immagine di ciò che ho sempre sperato di essere. Un uomo capace di amarla senza essere sopraffatto dalla sua tela infestata di menzogne.




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