Titolo: Oronero
Genere: Contemporary Romance
Data pubblicazione: luglio 2017
Autoconclusivo: Si
Serie: Dirty
Si dice che nella vita tutto accada per un piano ben prestabilito.
Che sia Dio o il destino colui che traccia il nostro cammino poco importa, a noi sta solo di seguire le indicazioni.
Ci alziamo la mattina e seguiamo il corso degli eventi senza troppi sbattimenti tanto, se deve succedere…
Cazzate!
La vita ce la costruiamo noi!
Il mio destino me lo creo io, non lo lascio in balia del fato, del caso o alla mercé di un qualche dio capriccioso.
Mi sono prefissato obbiettivi molto alti e sto lottando per raggiungerli.
Se desidero qualcosa combatto finché non la ottengo e, credetemi, ottengo sempre quel che voglio.
Ho vissuto tutta la mia vita seguendo i miei istinti, le mie passioni, ho trascorso un esistenza da cultore del bello, da edonista, non mi sono mai negato nulla di ciò che poteva provocarmi piacere pur rimanendo libero da ogni tipo di dipendenza… la mia libertà è sacra e inviolabile!
Autrice:
Sotto lo pseudonimo Mysano si nasconde una giovane donna romana, vive nella capitale italica insieme al suo compagno e a due bei micioni, è una blogger ma soprattutto una lettrice ossessivo compulsiva che ha realizzato il suo sogno di una vita scrivendo e pubblicando questa storia.
Oronero è il suo Romanzo d’esordio ed è il primo capitolo della serie Dirty.
Prologo
«Ultimo piano, Imperial Suite», la nuova receptionist del Loews Hotel ha un’aria davvero maliziosa, «l'ascensore è in fondo al corridoio a sinistra… signore».
Vengo spesso qui, prenoto sempre la stessa stanza, e conosco bene la strada ma la lascio comunque parlare gustandomi il suo modo di fare velatamente sfacciato. Da dietro al bancone dell’accettazione mi consegna la chiave elettronica della stanza indugiando di proposito con le dita sul palmo della mia mano e regalandomi un sorriso di apprezzamento che di professionale ha ben poco. Non è niente male, è mora, minuta e soprattutto le si legge in volto la voglia che avrebbe di prendere il posto della tipa che è con me. Mentre mi dirigo verso gli ascensori seguendo l’ondeggiare sinuoso dei fianchi della mia accompagnatrice mi volto ancora una volta verso la moretta, che ricambia il mio sguardo mordendosi il labbro inferiore.
Chissà magari è disponibile anche ad unirsi a me e... come diavolo ha detto di chiamarsi?
Non riesco a ricordarmene, l’ho incontrata al locale poco meno di un’ora fa.
Avrei potuto farmela tranquillamente in macchina, non avrebbe avuto nulla da obiettare, ma quando ho tempo preferisco evitare di stare scomodo, e poi mi piace far star bene le donne prima di fotterle a dovere. Ha i capelli di un bel rosso intenso e la pelle candida come il latte. Ha attirato subito la mia attenzione, questo strano mix di colori unito all’abito striminzito in cui è strizzata, è stato un richiamo per i miei occhi e per il mio uccello, un’insegna a neon con la scritta “scopami”.
Io ovviamente l’accontento.
Viene più volte gridando il mio nome.
Non credevo fosse possibile che una donna potesse ripetere il mio nome così tante volte e con così tante intonazioni differenti. Una più fastidiosa dell’altra.
«Oddio Jude... sì... oh sì, Jude, ancora ti prego... oh così, Dio mio Jude è splendido... sì, sto venendo di nuovo...».
Blatera decisamente troppo per i miei gusti, la voce che fino a poche ore fa trovavo sensuale sembra ora l’incessante starnazzare di un’oca isterica, i suoi gemiti poi somigliano più a un attacco asmatico che a un’estasi di piacere. Sono stufo di sentirla parlare, mi alletta l’idea di usare quella splendida bocca per qualcosa di utile ed evitare così di sentire ancora quell’insopportabile voce.
La faccio sdraiare a pancia in su, orizzontalmente rispetto la spalliera. L’attiro a me che sono in piedi, di lato al letto, di modo che abbia la testa che sporga leggermente verso l’esterno, proprio di fronte alla mia erezione che svetta ancora dolorosamente integra agognando la meritata soddisfazione. Le dico di aprire la bocca e lei, obbediente, lo fa, non ha nemmeno il tempo di abituarsi all’intrusione del mio uccello che glielo faccio scivolare fino alla gola, sono dentro di lei per quasi tutta la mia lunghezza. Ora è il mio turno di godere! Adoro arrivare in profondità, sentire, man mano che aumento il ritmo degli affondi, la sua gola chiudersi attorno a me, gli spasmi faringei non fanno che contribuire ad aumentare la mia eccitazione.
«Non provare a mordermi...», sibilo tra i denti tenendole una mano sotto la nuca per poterla fissare in volto. «Fammi venire piccola, fammi godere come io ho fatto godere te». Le lacrime le scendono lungo le tempie per lo sforzo bagnandomi l’interno delle cosce, si agita un poco riuscendo a stento a controllare i conati. È uno spettacolo meraviglioso quello a cui sto assistendo, non riesco più a controllarmi quindi accelero il ritmo come un indemoniato finché non vengo con forza inondandole la bocca. Mentre mi sfilo da lei un rivolo del mio orgasmo le scivola lungo la guancia, le mi fissa in una silente richiesta. Vorrebbe sprecare il mio piacere sputandolo ma la blocco afferrandole il mento con una mano, forse con troppa forza.
«Ingoia!», le intimo.
Mi osserva dubbiosa solo per un attimo prima di deglutire e sorridermi in modo seducente.
Mentre se ne sta sdraiata in assoluto silenzio accarezzo la folle idea di ripetere l’esperienza con lei in futuro, ma poi apre di nuovo la bocca e quella voce odiosa annulla quel pensiero inopportuno riportandomi alla realtà.
«Mio Dio Jude, davvero… wow! Sono senza fiato…».
Se fossi sul serio senza fiato non parleresti.
Tengo a freno la voglia di rivestirmi e tornarmene a casa di corsa solo per evitare di vederla o sentirla ancora. Sono stanco, non ho voglia di guidare per andare a dormire nel mio letto e poi ho pagato profumatamente questa suite, così faccio l’unica cosa giusta da fare.
Prendo il telefono e chiamo la reception.
«Si, salve, potrebbe far riaccompagnare la mia amica a casa dall'auto dell'hotel? Metta pure tutto sul conto della camera e aggiunga anche un extra per l'autista. Diciamo tra dieci minuti, grazie».
La tizia ancora nuda accanto a me impallidisce a tal punto da rischiare di scomparire tra le candide lenzuola in cui è avvolta. Lo stupore viene sostituito dalla rabbia non appena chiudo la chiamata, un rossore diffuso le imporpora collo e viso mentre una vena prende a pulsare furiosa sulla sua tempia destra.
«Brutto stronzo, abbiamo appena finito di scopare e mi cacci via così?».
«Ti sto facendo riaccompagnare a casa».
«Come una puttana?», grida iniziando a raccogliere i suoi vestiti.
«Non sono mai andato a puttane ma dubito gli paghino una limousine per farle riportare a casa».
«Mi hai fatto ingoiare cazzo!».
«E ti è piaciuto».
«Si, ma non è questo il punto», ribatte stizzita.
«E quale sarebbe il punto? Abbiamo passato una bella serata, ci siamo divertiti parecchio ma questo è tutto, pensavo fosse chiaro per entrambi».
La vedo deglutire a vuoto, se si mette a piangere giuro che mi suicido.
«Ma…», cerca di argomentare in maniera incerta.
Purtroppo però tatto e diplomazia non sono mai state mie doti e così la metto subito a tacere.
«Ma cosa? Cosa stai cercando di dirmi? Che non sei solita darla al primo che incontri? Che non vai a letto con uno appena conosciuto? Cristo santo, non hai nemmeno aspettato di finire il drink che ti ho offerto prima di accettare di seguirmi in questa suite e ora vuoi farmi la morale? Ce la siamo spassata entrambi, questo è vero, ma finita la corsa finito il divertimento. Quindi ora ti pregherei di andare».
«Sei proprio uno stronzo!».
«Si, questo me lo hai già detto».
Quando la rossa esce finalmente dalla mia stanza liberandomi per sempre della sua insopportabile presenza, cado in un sonno profondo.
Il sogno mi si costruisce attorno, vivido e reale, è un remake del mio passato.
Ritrovo il luogo in cui tutto ebbe inizio.
Torno ad avere 15 anni…
Sento caldo, troppo caldo.
Possibile che in questa famiglia di pazzi abbiano acceso i riscaldamenti a luglio?
La testa mi esplode, non riesco ad aprire gli occhi impastati dal mix di alcol e marijuana, miei compagni della notte appena trascorsa.
Sento voci.
Tante voci.
Troppe voci.
Cerco di rinchiuderle lontane dalla mente e di continuare indisturbato il mio sonno, ma queste sembrano invece avvicinarsi sempre più.
«Capitano Jay non mi pare proprio un teforo quefto … fecondo me è un motto fignore».
«Sembra anche a me decisamente morto. Stecchito, andato. Non si muove e ha anche la faccia nella sabbia. È morto secco, non c’è il minimo dubbio. Forse dovremmo sotterrarlo, mettergli una croce, noi pirati facciamo così… almeno penso».
«Jay, andiamo via, pe favore, io ho paura».
«Se è morto come il cane di tuo fratello non devi avere paura, non può farti male, non devi avere paura a meno che…».
«A meno che?»
«A meno che non sia pieno di vermi assassini mangia uomini».
«Vemmi affaffiniiiii???? Io vado via, i vemmi mi fanno fchifo e non voglio essee mangiata»
«Aspetta vediamo se smuovendo un po’ escono…»
Ma che cazzo … qualcuno mi sta toccando in mezzo alle chiappe, in modo davvero poco rassicurante, con quello che ha tutta l’aria di essere un bastone.
Mi volto di scatto raddrizzando la schiena, mi ritrovo seduto su qualcosa di instabile, farinoso e bollente. Prima di rendermi conto di non essere nel mio letto, nella mia stanza, nella villa di mio padre, l’urlo più acuto e stridulo che qualunque scala acustica abbia mai registrato si eleva a due centimetri esatti dal mio orecchio sinistro.
Cerco di turarmi le orecchie come posso ma ormai è tardi, credo di essermi comunque appena perforato un timpano.
La situazione è talmente paradossale che impiego qualche secondo a realizzare che sono sulla spiaggia e che, nell’istante stesso in cui mi sveglio del tutto, vengo improvvisamente circondato da un gruppo di persone.
«Che succede? Che cazzo stai facendo ai bambini?».
Un ragazzo afroamericano con straordinari occhi verdi, mi fissa in cagnesco come fossi satana in persona. Deve avere circa la mia età, anche se è decisamente più alto e muscoloso di me.
«Bambini? Ehi amico ma di che diavolo stai parlando? Io stavo dormendo…»
Solo in quel momento mi accorgo di due ragazzini che fanno capolino da dietro le gambe del ragazzo, devono avere all’incirca cinque, sei anni.
Uno dei due è un maschietto con un costume azzurro eccessivamente lungo. Folti boccoli dorati gli adornano la testolina, sono lunghi, arrivano a sfiorargli le spalle, una spruzzata di lentiggini sulle gote si confondono con i granelli di sabbia dorata con cui è praticamente ricoperto. Quel che mi colpisce di più sono gli enormi occhioni dello stesso colore dell’oceano che fa da sfondo dietro di lui, penso che sia il bambino più bello che abbia mai visto ma poi vedo lei.
I miei occhi si catapultano su una minuscola ragazzina che tiene per mano il biondino. Uno scricciolo color caffellatte con una cascata di capelli neri come la pece, lunghi a tal punto da coprirle totalmente la schiena, il taglio degli occhi orientale è stupendo ma ciò che incanta e stupisce è il colore delle pupille, mai visto nulla di simile, sembra oro fuso.
È fantastica, sembra una creatura magica uscita da qualche libro di fiabe, da qualche cartone animato della Disney, una minuscola Pocahontas. Resto a fissarla come un ebete non prestando alcuna attenzione al mio coetaneo che continua a sbraitare come un indemoniato.
«Theo, santo cielo, vuoi stare calmo?».
Una ragazza asiatica con gli occhi color ghiaccio si intromette frapponendosi tra me e il ragazzone, deve essere poco più che ventenne, lo afferra per un gomito scuotendolo con forza, un metodo decisamente discutibile per tentare di calmare qualcuno.
«Sono stati loro a dar fastidio a questo ragazzo, quindi per cortesia lascialo stare. James fila via», dice al puttino biondo, poi rivolgendosi a me con quegli insoliti occhi trasparenti mi dice «e tu… be, scusaci tanto per il disturbo».
Il ragazzone schizzato si allontana sulla scia dell’angioletto biondo mentre la ragazza asiatica afferra in malo modo la nanetta, rimasta a fissarmi con gli occhi spalancati, cercando di trascinarla via ma quello scricciolo sorprende entrambi correndo verso di me.
Il tocco della sua manina sul mio viso mi provoca un esplosione di emozioni.
«Fono tanto contenta che fei refuffitato, attento ai vemmi mi accomando, e non morie più», mi sorride prima di correre via. Un sorriso candido, genuino, decorato da due stupende fossette che fanno capolino su quel visino perfetto.
Una sensazione di quiete mai provata prima si irradia dal punto esatto in cui quella manina paffuta mi ha sfiorato infondendo pace all’intero mio essere.
Mi risveglio a mattinata inoltrata nella camera d'albergo, solo, in questo letto improvvisamente troppo grande e vuoto.
Erano mesi che non la sognavo, quella ragazzina continua a vivere eterea, immutata nei miei sogni, anche da lì riesce a trasmettermi quella serenità che nella vita di tutti i giorni io non ho mai conosciuto. La mia piccola Oronero, nata probabilmente dall’immaginazione indotta dall’eccesso di alcol ma che, nel corso degli anni, è diventata comunque il mio personalissimo portafortuna.
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